Scuola
Ricomincia
la scuola e puntuale come un orologio arriva anche il primo suicidio. Una
ragazzina di soli dodici anni a Trieste le ha preferito la morte. Avrebbe
dovuto alzarsi e prepararsi per il suo primo giorno di lezioni dopo le vacanze
estive. Invece ieri mattina ha preso la sedia, ha aperto il balcone della
cucina, e si è lanciata. Nulla da fare; è deceduta all’istante. Aveva scritto
due messaggi non inviati sul cellulare “odio la famiglia” - “odio la scuola”.
Questo il suo terribile addìo alla madre separata, con la quale viveva, e agli
insegnanti, che probabilmente non sospettavano nulla del suo disagio nascosto e
covato dentro. Mi chiedo come si possa non capire un malessere di tale portata.
O come si possa al più fare finta di non vederlo, ignorandolo del tutto. Ma la
domanda sconcertante è come mai si possa maturare una così totale
incomprensione di sé e degli altri in quel posto che più di tutti dovrebbe
rappresentare il luogo dell’accoglienza e della gioia per i più giovani.
Possibile che ai nostri ragazzi non interessino il sapere e la conoscenza?
Possibile che nell’ambiente scolastico, nel quale si dovrebbe anche
socializzare e fare amicizia, non riescano a trovare una motivazione a
relazionarsi per superare paure, dubbi, angosce e solitudine? Comincio
piuttosto francamente a credere che siamo noi adulti ad aver inquinato il mondo
dell’educazione con i nostri tabù formativi. E i giovani hanno perso la voglia
di esprimersi liberamente, costretti in forme coatte che noi amiamo definire
didattiche, ma che servono solo a reprimere la curiosità e l’intelligenza con
la quale dovrebbero invece abituarsi ad esprimere se stessi in un’aula
scolastica. La scuola odierna, con i suoi codici disciplinari, è diventata una
gabbia asfittica, che produce marionette inquietanti di saperi ripetuti a
memoria, in formule stereotipate e imparate meccanicamente, e senza riflessione
critica alcuna, per poi essere anche velocemente dimenticate. Molti si
adeguano, accettando lo standard della competitività. Altri sopportano malamente,
ricercando una più o meno rimediata sufficienza pur di proseguire gli studi.
Altri ancora non ce la fanno. E lanciano segnali che spesso gli adulti non
accolgono, convinti come sono che andare a scuola sia sempre e comunque un
bene, e un diritto che non deve essere negato. Anche il genitore più attento si
sente a posto con la propria coscienza quando riesce a imporre al figlio,
seppure con grossi sacrifici e sofferenze da parte di tutta la famiglia, il
modello scolastico, passivo e accondiscendente, che la massa dei comuni mortali
sperimenta nelle scuole di ogni ordine e grado. D’altra parte si sa che fuori
la concorrenza è feroce, e che trovare un posto di lavoro dopo la laurea non è
affatto scontato come una volta. E comunque bisogna essere preparati e capaci.
Altrimenti chiunque è disposto a passarti sopra. E queste convinzioni
sostengono padri e madri che hanno ben chiara la situazione difficile con la
quale andranno a misurarsi i propri figli. Eppure ci sono alcuni a sostenere,
anche tra i giovani, che gli adolescenti di oggi sono viziati e perciò incapaci
di sopportare la frustrazione in maniera fattiva, trasformando le momentanee
sconfitte in potenziali vittorie future. E ci può anche stare. Perché le
famiglie sono sfasciate, e la mamma che, separata, vive sola con la figlia
adolescente le concede tutto quello che la ragazza desidera per liberarsi del
senso di colpa, proveniente dal fallimento della sua vita familiare. Ed ecco
che si giustificano le frasi “odio la scuola” - “odio la famiglia”. Perché né
la scuola né tanto meno la famiglia sono più in grado oggi di restituire ai
giovani quel senso di dignitosa appartenenza che contribuisce alla formazione
della loro identità personale. E senza radici non si può vivere. Sic stantibus
rebus ne consegue che scuola e famiglia dovrebbero proficuamente tornare a
confrontarsi tra di loro per contribuire entrambe al benessere psico-fisico dei
ragazzi, cominciando col ridiscutere le modalità della programmazione, che
invece piovono dall’alto come programmi imposti, ordini del Ministero, finendo
per allontanare ancora di più la scuola dalla sua missione più importante: quella
di far crescere, sviluppando interessi e motivazioni già insite nei giovani.
Non innestando semi nuovi, ma innaffiando quelli già piantati in loro dalla
vita e dalle precedenti esperienze contratte, per ricondurre ciascuno a se
stesso. Quante volte invece la scuola aliena e allontana l’allievo dal mondo
culturale di provenienza e dal suo se stesso più proprio, invece di condurlo amorevolmente
e per mano sulla strada del sapere e della conoscenza? Divisi dentro, lacerati e strappati nei
sentimenti, non si vive. Ed è questo il fallimento della nostra epoca. Scuola e
famiglia non formano più globali unità personali, ma atomi dilaniati dall’angoscia
della perdita e dell’abbandono che il nostro mondo schizofrenico genera con
larga magnificenza.
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