La sveglia e l'autunno
Due
giorni fa ho comprato una sveglia da camera di tipo tradizionale, di quelle che
fanno ancora “tic-tac”. Il suo ritmo mi aiuta a dormire, e mi fa da dolce
risveglio la mattina. Mi ricorda un grande orologio da tavolo che aveva mia
nonna paterna in camera da letto, riportando alla memoria le feste di famiglia,
come la solennità di Ognissanti, o il Natale, in cui io con i miei genitori e
mio fratello eravamo tutti da lei per alcuni giorni. Il tempo dell’infanzia
spensierata, della calza di cioccolatini alla mattina, o dei regali sotto
l’albero al risveglio.
Riflettendoci
ancora, ho poi capito che è quasi doveroso che il “tic-tac” di un orologio
segni il passo del tempo, che diviene continuamente, e scorre senza posa,
rammentandoci che non siamo eterni, che ad ogni secondo che passa, c’è qualcosa
che inevitabilmente ci sfugge, correndo dalla vita alla morte. Il trapasso è
veloce, impercettibile. Perché, di fatto, è immoto e silenzioso. Il ritmo
dell’orologio lo sottolinea, e ce lo ricorda.
Mi
piace questo tempo uggioso. La pioggia fuori dalla finestra. Il suo rumore
cadenzato, in tutto simile a quello della mia sveglia che segna i secondi, i
minuti, le ore, la giornata che scorre…questa malinconia nostalgica, tipica
dell’autunno, mi fa sedere con un libro a pensare che la vita non è tutta qui,
ma che può essere bella anche guardata da un divano accogliente, o dai vetri di
una finestra in una casa che comincia a farsi fredda e umida, mentre fuori
piove da due giorni. Che, in fondo, vivere non vuol dire ubriacarsi, ballare
selvaggiamente, fare le ore piccole, o viaggiare senza posa. Perché può anche
voler dire mettersi a sedere, stare, lasciando che il tempo scorra senza che
questo possa procurare ansia, ma con la consapevolezza che ogni istante, anche
quello apparentemente più inutile e vuoto, non si riproporrà mai più.
Rendendolo perciò unico e straordinariamente irripetibile.
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