Immigrati

“A manifestare sono stati gli immigrati sgomberati questa mattina dall’albergo diffuso Torre Guiducci, stessi stranieri che nelle scorse settimane dormivano in rifugi di fortuna realizzati nei pressi dell’aeroporto di Borgo Mezzanone dove sorge il Cara, il Centro di accoglienza richiedenti asilo. Nei giorni scorsi però la Prefettura di Foggia ha sgomberato tutta l’area limitrofa al campo di accoglienza chiudendo anche alcuni varchi che erano stati realizzati nella rete del Cara: varchi attraverso cui molti stranieri riuscivano a entrare illegalmente nel campo. Gli stranieri, tra cui anche alcuni bambini, chiedono una sistemazione per la notte”. Leggo la notizia dalle colonne del Mattino di Foggia, cercando di capire le ragioni della protesta dei tunisini che, qualche giorno fa, con valigie e figli al seguito, si sono seduti a terra sulle strisce pedonali ad un attraversamento in prossimità della stazione, impedendo il normale scorrimento del traffico cittadino, anche con atteggiamenti aggressivi nei confronti degli automobilisti in transito, come quello di lanciare una valigia sopra una macchina che tentava comunque di avanzare. Il malessere sociale della nostra città è ormai diffuso, e non interessa solo gli abitanti, e i foggiani da generazioni. Per queste ragioni non fatico ad immaginare le difficoltà di chi, extracomunitario, tenta la fortuna nella zona di Foggia, o nelle campagne attorno. Quello che proprio non mi riesce di intuire è cosa possano volere i manifestanti dai cittadini foggiani, gente comune che vive, sebbene ad altri livelli, il loro medesimo disagio. Recriminare con un foggiano perché non si trova lavoro, o non c’è una casa, è senz’altro un modo per mettere in piazza i propri bisogni, e quelli della categoria. Per rendere presente un'esigenza, una necessità, e uno stato di cose. Ma sono le amministrazioni, e la politica, che hanno il compito di creare posti di lavoro e che realizzano, ove possono, interventi sociali a favore dei più economicamente svantaggiati. Recarsi nei centri sociali, alla Caritas, chiedere interventi a favore delle proprie famiglie, può ancora avere un senso. Perché se ci sono alloggi, dormitori, lavori, verranno assegnati lì a chi ne ha bisogno. Prendersela col foggiano sclerato già dalla schizofrenica amministrazione politica della città, esasperando la tensione sociale, intasando il traffico cittadino di chi magari sta andando a lavorare, aumenta solo l’incomunicabilità, fomentando la guerra tra poveri. Se il foggiano si avvicina all’immigrato imputandogli pregiudizialmente la mancanza di posti di lavoro, la sporcizia della città, l’abbandono in cui versa Foggia, l’aumento degli scippi, dei furti nelle case, e della delinquenza; l’immigrato continua ad alimentare in lui quel senso di rivalsa contro il foggiano, e quella naturale invidia, per chi è stato più fortunato, godendo di privilegi che lui non ha. L’invidia è un brutto e pericoloso sentimento. Non ci dimentichiamo che ha avuto la capacità di scatenare l’olocausto nazista. Il complesso di inferiorità, vissuto come stigma da una razza è socialmente terribile, e i suoi effetti nella storia sono davvero incalcolabili ed imprevedibili. In ogni caso, entrambi gli atteggiamenti sono sbagliati e fonte di equivoco. Ovviamente, non sono stati gli immigrati a distruggere questa città. Così come il foggiano non ha alcuna colpa nella storia di povertà e di guerriglia che ha portato i popoli extracomunitari ed immigrati ad arrivare fino a noi in cerca di migliori possibilità di vita, e nella speranza di trovare qui un futuro per se stessi e per i propri figli. Ciononostante, foggiani ed extracomunitari, si relazionano tra loro utilizzando piuttosto che le corrette chiavi interpretative della verità della storia, il più semplice stigma sociale, che ghettizza le categorie umane nell’erronea interpretazione di fatti inesistenti, sostenuti per reciproca comodità e pigrizia culturale. Resta un dato che chi viene nel nostro paese entra in casa nostra, e deve rispettare le regole che, nel bene e nel male, ci siamo dati. Proprio come quando noi stessi ci rechiamo in terra straniera. Ritengo questo un fatto di educazione e di civiltà, che implica il rispetto dell’altra cultura, delle sue tradizioni, della sua storia. Gli extracomunitari non possono pretendere di venire a comandare in Italia. Piuttosto possono tentare la strada dell’integrazione culturale, nel rispetto di norme e leggi che vigono nel nostro paese. Se poi si dovessero trovare male, come spesso dicono, gli immigrati hanno un vantaggio ineludibile, rispetto a chi ha casa e vive a Foggia con la sua famiglia da generazioni. Perché, non avendo radici, ma solo quella valigia, facilmente trasportabile come provano le immagini della protesta, è facilissimo salire sul primo treno per Bari o per Milano, o addirittura per l’estero. A differenza di chi è stanziale, il nomade può trasferirsi nel giro di qualche ora da un posto all’altro. Eppure ci si lamenta, si continua ad offendere la città, si insultano i cittadini foggiani, senza avere il coraggio di salire sul primo treno in partenza, a due passi da quell’attraversamento pedonale che ci si ostina ad occupare. Lo sappiamo che ci sono gli extracomunitari a Foggia. Ne siamo pieni. Basta uscire per strada. Lavorano nelle campagne, nelle case come badanti e come domestiche, fanno i guardiani e i maggiordomi presso le famiglie più ricche e benestanti. Nessuno di loro ha bisogno di un’azione dimostrativa per ricordare la sua presenza al foggiano. Perché allora quella manifestazione? Perché urlare le parole “merda” alla signora che cerca di spostare una valigia per passare ugualmente, senza tuttavia mettere le mani addosso ad alcuno di loro? Nel video che gira online si sente la voce di un foggiano che racconta più o meno ”manifestano perché non hanno una casa…gliela dobbiamo dare noi? Ecco, queste sono le conseguenze delle politiche fatte da chi ci governa…”. Foggia vive in affanno da una decina d’anni a questa parte, ci sono moltissimi foggiani senza lavoro e senza casa, costretti ad emigrare al nord, o addirittura all’estero, per trovare un minimo di dignità, e anche chi è rimasto non si sente più un privilegiato a vivere nelle condizioni in cui vive qualunque cittadino di questa città. Gli immigrati, invece, possono andare via, in una città dove, con maggiori aspettative sociali ed economiche, potranno trovare quell’agio e quel benessere che hanno cercato nel luogo sbagliato. Una volta si diceva che erano invisibili loro. Oggi piuttosto il problema della nostra politica è quello di affrontare l’invisibilità del cittadino italiano, che resta inascoltato dai poteri forti, e vive un’esistenza parallela di incomunicabilità e di incomprensione, che genera un solco sempre più profondo tra società civile e stato. Questo dovrebbero capire gli immigrati, e con loro, ovviamente, anche gli stessi foggiani e gli italiani tutti che si trovano a dover affrontare il problema della convivenza con popolazioni straniere. In ogni caso, resiste l’idea che ciascuno resti padrone in casa propria, e l’ospite, se irrispettoso e incivile, può essere messo alla porta. Educatamente, ma con fermezza. Quanto poi ai diritti degli immigrati, sono certa che questo mio articolo solleverà scandalo in chi ritiene un’ingiustizia sociale lo smantellamento di un campo di extracomunitari. Per me lo scandalo è determinato del fatto che, nel 2013, si possa pensare ancora che sia dignitoso, per un essere umano, abitare un campo nomadi, piuttosto che una casa di mattoni, nella quale ripararsi al caldo dalle gelide nottate invernali. Che ci viva lo straniero o il clochard italiano. Perché il barbone foggiano spesso muore al freddo della stazione o fuori ad un portone chiuso alle sue spalle. E non fa notizia.
articolo pubblicato su Foggiaonlinenews

Commenti

Post più popolari