Fondamenti e storia del Personalismo nell’opera di Mounier


Quest’estate mi ha tenuto piacevole compagnia tra i monti una ponderata rilettura del Personalismo di Emmanuel Mounier. Da un po’ di tempo mi appassionano le tematiche di questa corrente filosofica che nel Novecento ha segnato il passo epocale, facendo la differenza rispetto all’angosciosa disperazione, di moda tra gli esistenzialisti. In qualche modo il personalismo può essere ritenuto, in alternativa, un pensiero della speranza, che non chiude sul futuro, aprendo piuttosto alla progettualità dell’uomo storico, e alle sue innumerevoli possibilità di scelta e di azione concreta. Nel personalismo il rifiuto del nichilismo passa attraverso la valorizzazione della persona umana nell’economia, nella famiglia, nella nazione e all’estero. Sono perciò importanti anche la formazione politica, l’educazione e la cultura, il richiamo ai valori dell’essere umano, religiosi o laici che siano. I nuovi riferimenti non sono la libertà e la scelta, così come il rifiuto della scienza, l’angoscia e la disperazione, vissuti come elementi caratterizzanti l’individualismo atomistico e la solitudine dell’uomo dell’Esistenzialismo, bensì tutti i presupposti della persona umana in quanto tale, vissuta come primo valore imprescindibile ed emergente. Lo sguardo, la prospettiva dell’altro, l’apertura all’alto, fanno dell’uomo il progetto storico del Personalismo, vissuto come nuova filosofia della speranza, attraverso la verità dei valori. L’uomo del Personalismo è rivolto al fare (non al fare economico, né al fare come sistematizzazione e riconoscimento di valori). Ma al fare inteso come riflessione teoretica, θεωρειν, che coincide con il filosofare vero e proprio di cui parlava Aristotele, e non al ποιειν o al πραττειν, ma alla dialettica tra economia ed etica, in vista di una riflessione contemplativa e critica su questi due aspetti della vita umana, che conducano ad un’azione profetica sul mondo in quanto tale. Il Personalismo è contro il solipsismo individualistico dell’esistenzialismo e la disperazione del nichilismo. Il Personalismo è la filosofia del “contro”. Contro la tecnocrazia e contro il capitalismo viene rimessa al centro la persona, come unità indissolubile di incarnazione, comunione e vocazione. In quanto incarnazione la persona umana esprime il radicamento verso il basso. Il volto espone e propone l’uomo nell’affrontare la realtà con tutto se stesso. Ma l’affrontare la realtà spinge la persona ad entrare in comunione con l’altro, a porsi in relazione comunicando, nella dimensione dell’essere in comunità attraverso l’amore. La scoperta della relazione è ad un tempo conoscenza della propria intimità e trascendimento verso l’altro e verso l’alto. Più la persona è orientata verso l’altro, difatti, meno mostra interesse per le cose. Nella relazione all’altro l’essere umano scopre però un dentro che necessita di un orientamento al fuori. Ecco definirsi la terza dimensione della persona umana nella vocazione, che orienta l’uomo a divenire il suo se stesso più proprio, finalizzando l’esistenza all’essenza di ciascuno, in maniera assolutamente unica ed irripetibile. Questa singolarità imprescindibile è il segno della fattura originale di ogni persona, che tale rimane in assoluto, di fronte all’altro.  Mounier rispolverando le origini storiche del Personalismo filosofico fa risalire questo approccio fino a Socrate, definendolo come il primo personalista della storia del pensiero. Il “conosci te stesso”, come richiamo alla personale individualità di ciascuno è, per Mounier, il primo appello rivolto all’essere umano, nel riscoprire la sua propria irripetibile originalità. Si tratta dello stesso monito “redi in te ipsum” che rivolge all’uomo Agostino. Ma è già Personalismo filosofico il dialogare di Platone che induce gli interlocutori a modificare il loro proprio atteggiamento riguardo alle verità reciprocamente sostenute per incontrarsi a metà strada ed entrare così in relazione. Anche il concetto di sinolo di Aristotele, che concepisce la persona come unità indissolubile di anima e corpo, fonda le basi della filosofia che sarà poi fatta propria dall’umanesimo cristiano di San Tommaso, diventando parte integrante della dottrina cattolica. E Pascal con le sue ragioni del cuore che la mente non conosce, va oltre la ferrea logica dualistica di Cartesio, padre del razionalismo filosofico e fondatore del metodo di indagine speculativa. Il razionalismo cartesiano, difatti, prova la razionalità umana del sentimento e del cuore. Il Dio di Cartesio, distante e freddo verso le sue creature, è causa necessaria della materiale res extensa, ma non creatore per amore. Egli, con la sua esistenza, giustifica il causalismo materialistico del Seicento, e spezza l’unità di creato e Creatore, lasciando l’uomo solo, in balìa dei suoi dubbi e dei suoi stessi pensieri, e rendendolo infine in tutto e per tutto simile a quel Dio che lo avrebbe generato. L’uomo cartesiano si fa così divinità a se stesso. Ma rimane isolato dalla relazione con l’alto, e manchevole della dimensione del sentimento e del cuore nella relazione con l’altro. L’esatto contrario dell’universo di Pascal, per il quale le ragioni del cuore (exprit de finesse) diventano indispensabili e perciò predominanti su quelle della ragione stessa (exprit de geometrie). Kant ha poi nel Settecento, attraverso le tre Critiche, espresso una concezione dell’uomo come fine e mai come mezzo dell’agire morale, riconoscendo alla Ragion Pratica il primato assoluto sulla Ragion Pura, ed esplicitando nel Giudizio una concezione della persona come di un essere che si pone domande metafisiche sull’esistenza dell’anima, del mondo e di Dio. Domande alle quali non può rispondere la scienza, incapace di interpretare pienamente le istanze dell’uomo nella sua complessità esistenziale. Anche lo stesso Hegel, filosofo della Fenomenologia dello Spirito, e sostenitore di una filosofia della storia che trova la sua giustificazione nell’astuzia della Ragione universale, intesa come destino del flusso temporale del mondo, finisce per ricomprendere l’essere umano come coscienza esistenziale che si riconosce in sé solo attraverso la relazione dialogica ed interattiva con altre coscienze a lui contemporanee. Pur stabilendo inevitabili rapporti di signoria e servitù, ogni relazione umana finisce comunque per essere una dialettica di autocoscienze che si incontrano sul piano dialogico stabilendo giochi di potere. Nella filosofia spiritualistica dell’Ottocento italiano sarà poi Giuseppe Mazzini a reinterpretare in politica l’unità aristotelica di pensiero e azione nel rispetto della coerenza umana, che afferma teoricamente e agisce per il bene della comunità civile in cui è naturalmente inserita. Kierkegaard riscopre invece la fede religiosa come elemento utile e necessario all’uomo per scegliere in modo stabile una vita che superi lo stadio estetico e quello etico, entrambi mutili dell’affidamento completo a Dio, nel quale solo l’uomo può trovare pace e completezza per sé e per i suoi cari. Il Don Giovanni, che vive l’attimo, illudendosi di scegliere la via più facile del piacere, in realtà finisce per non scegliere affatto, lasciandosi vivere penosamente come capita, e diventando perciò, da protagonista e soggetto della propria esistenza, succube vittima delle personali schiavitù cui non riesce a rinunciare, e dalle quali non si libererà mai, lasciandosi sopraffare dalla disperazione e dall’angoscia esistenziale. Un passo avanti lo compie il padre di famiglia, che attraverso la scelta della vita etica e del matrimonio, si assume i suoi propri doveri nei confronti della moglie e dei figli, scegliendo ogni giorno la strada dell’equilibrio e della morigeratezza dei costumi. Ma solo la vita religiosa, che culmina nell’atto di fede di Abramo, che si affida completamente a Dio, completa l’esistenza umana conferendole dignità e senso. La ragione non può mai essere risolutiva. C’è bisogno di uno scatto di agilità verso l’alto, che solo la tensione morale di chi crede può imprimere all’esistenza umana. Muovendo da un presupposto antitetico Marx parla invece di alienazione definendola come la caratteristica precipua dell’uomo moderno, costantemente alienato da se stesso, dal proprio lavoro, dal capitale. Anche il sentimento religioso è per Marx causa di alienazione dell’uomo moderno, che preferisce la preghiera alla lotta per il riscatto sociale della propria condizione. A ben pensarci, difatti, l’impegno sociale è uno dei temi molto sentiti e da recuperare per un nuovo umanesimo della persona umana. In tal senso, perciò, si può ben contestare la falsa convinzione della manualistica storia della filosofia che interpreta Marx come un materialista. Egli è piuttosto un filosofo critico del materialismo storico ed economico della sua epoca. Sebbene interpreti la storia essenzialmente come lavoro, prassi e lotta di classe, la sua filosofia intende osservare criticamente lo stato dell’arte nell’intento di cambiare le condizioni di vita del ceto operaio, che necessita di liberarsi dal giogo del salario di fabbrica e dalla sua conseguente schiavitù. Altro filosofo che viene ricordato e citato da Mounier è Heidegger, l’autore di Essere e Tempo, padre dell’esistenzialismo europeo nel primo ventennio del Novecento. Il suo richiamo alla condizione di autenticità dell’uomo, si esplicita nel dialogo senza veli e rifiuta la chiacchiera e il si dice propri del pettegolezzo, allineandosi con l’attenzione alla dialettica della relazione umana rivolta alla comunicazione di sé all’altro nell’essere insieme, e fuori perciò dall’apparenza patinata e superficiale della conoscenza e dell’incontro di passaggio. Per arrivare infine ad Husserl, e al suo richiamo all’epoché, la sospensione del giudizio, che risale al dubbio cartesiano e al demone socratico. Invito alla riflessione prima di agire e di parlare per evitare di commettere errori di giudizio e di apparenza. Il messaggio che rimane a simbolo del Personalismo, in quanto filosofia della persona umana, è il cosiddetto ottimismo tragico. Non si vuole sperare a tutti i costi una salvezza inesistente. Ma, pur nella consapevolezza della precarietà storica dell’esistenza, è importante costruire e serbare la convinzione che non tutto è sempre e comunque perduto. Rimane un ottimismo di fondo, nella condizione tragica dell’essere umano, che supera l’angoscia e la disperazione esistenziale nella relazione reciproca autentica e significativa tra esseri umani. Una relazione fondata sulla comunicazione e sul dialogo, che aiuti tutti i partecipanti a cercare, insieme agli altri, un senso universale alla propria storia esistenziale. Senza presunzione alcuna di eternità, che non sia il ricordo che ciascuno, se ha ben vissuto e onestamente operato, può lasciare di sé ai posteri. La filosofia della persona è così anche una riflessione della responsabilità reciproca e del prendersi cura di sé e degli altri. Un reciproco sostenersi per alleviare la difficoltà dell’andare. Perché, per riprendere la metafora assai cara a Nietzsche, ogni uomo è un viandante in perenne cammino nella storia. Ma il suo percorso non può essere solitario. Gli eredi di ciascuno sono perciò gli ideali compagni di viaggio, con i quali dividere un pezzo di strada e della propria storia. 

Questo articolo è stato pubblicato su GazzettaWeb

Nota bibliografica
Per questo articolo si rimanda alle letture di seguito:
1) Emmanuele Mounier, Il Personalismo

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