I Paralipomeni al Ragazzo della Valle di Italo De Vincentiis
L'estate 2014, trascorsa ai piedi della Maiella, in Campo di Giove, mi ha riservato, come bella sorpresa, l'incontro con la scrittura del professor Italo De Vincentiis.
giorni fa mi hai chiamato per dirmi di aver ricevuto una telefonata
emozionante: era un signore che mi cercava perché lo avevo salvato
durante la guerra nel 43’ e ti ho risposto che non sapevo chi potesse
essere perché a quell’epoca ne avevo salvati tanti. Mi hai anche detto
che di tutto questo in paese non si sapeva nulla e che lo avrei dovuto
scrivere. Cosa che farò.
Intanto ho ricevuto la telefonata da te preannunciata: era l’Ing.
Cangini figlio del capitano Gianfilippo Cangini che io avevo salvato
nello scontro con i tedeschi a Monte Coccia nell’Ottobre del 43’
caricandomelo sulle spalle perché ferito e sotto la minaccia di una
machine pistol lo portai quasi correndo fino a nasconderlo nel bosco.
Ma tutto questo è stato già scritto ne “Il ragazzo della valle” e
riportato sia da Giovanni Presutti in “Rauss” che dallo storico Prof.
Ezio Pelino su “E si divisero il pane che non c’era”.
Ora però, raccogliendo il tuo invito, voglio scrivere quello che di
straordinario abbiamo fatto in quell’epoca io e molti campogiovesi.
L’ufficiale sud africano Uys Krige nel suo libro “Libertà sulla Maiella”
e riferendosi ai prigionieri inglesi salvati dai campogiovesi parla di
una vera epopea di Campo di Giove. È stata una bella pagina ma io credo
che la vera grande epopea la scrivemmo noi campogiovesi e aiutammo
centinaia e centinaia di italiani di tutte le regioni e di diverse
professioni che attraversavano il fronte in cerca della libertà.
Qui è necessario che io descriva come è stato possibile realizzare questa grandiosa operazione.
Come descritto ne “ Il Ragazzo della valle” mi trovai dopo essere stato
catturato a ricoprire il posto di interprete presso il comando tedesco.
Avevo solo diciassette anni ma ricordo benissimo le cose più importanti.
Dall’8 Settembre fino all’11 Novembre del 43’ giorno dello sfollamento in casa mia furono nascosti:
- il capitano Gianfilippo Cangini di cui ti ho parlato e che tenemmo in
casa per una settimana per curarlo delle ferite e per nasconderlo ai
tedeschi che lo cercavano.
- la moglie e la figlia del capitano Auriga Comandante dei Carabinieri
di Sulmona che aveva rifiutato di collaborare con i tedeschi e si era
dato alla macchia, fu poi promosso Generale e quando organizzò nel 1959
la venuta di Charles De Gaulle a Milano mi invitò a partecipare ma non
potei essere presente.
- i figli del più grosso commerciante di tessuti di Sulmona, noto ebreo
di nome Fuà, Sergio e Oscar, il quale riuscì a passare dalla parte degli
inglesi si unì alla brigata Maiella di Troilo e purtroppo morì
giovanissimo nella liberazione di Brisighella.
Inoltre i fratelli Morrocco, Pasquale e Vittorio.
Il giorno prima dello sfollamento l’organizzazione Todd, ente
paramilitare tedesco che utilizzava i civili catturati per lavoro che
altrimenti avrebbero dovuto fare i militari tedeschi, rastrellarono una
decina di uomini “invitandoli” a rimanere a Campo di Giove altrimenti
sarebbero stati trasportati in un’altra parte del fronte. Fu quindi
gioco forza accettare, ma insieme creammo una piccola organizzazione per
aiutare tutti coloro (ed erano tanti) che passavano per Campo di Giove
verso il guado di Coccia.
Di quei “ragazzi” ricordo Fortunato Rossetti, Albo Antonetti, Tamburro
(il nonno dell’attuale Piccirilli) e Matteo Di Fellacchie a casa del
quale a Piazza delle Logge spesso ci ritrovavamo la sera. Questi
“ragazzi” erano in contatto con gli sfollati nascosti nel bosco della
difesa e da loro venivano informati quando qualche gruppo saliva da
Sulmona verso Campo di Giove per passare il fronte.
Fortunato o stava con i ragazzi dall’inizio o si unì a loro essendo
stato il primo a rientrare dopo lo sfollamento. Comunque fu lui che
mandammo a chiamare gli inglesi il 6 Giugno.
Quelli della difesa avevano le notizie da un gruppo che lavorava nella valle Peligna.
In tal modo uno dei ragazzi andava ad avvertire quelli che arrivavano
dalla mulattiera di Sulmona indicando la strada da seguire per evitare
le sentinelle tedesche che erano di guardia.
Io ogni giorno stando al comando conoscevo la disposizione delle sentinelle e li avvertivo.
Spesso quelli che arrivavano furono consigliati di evitare Campo di
Giove passando da San Matteo per la stazione ferroviaria e da lì alla
strada del cimitero che porta verso Coccia.
Caro sindaco, in quel modo salvammo centinaia di uomini che potevano
essere catturati dai tedeschi, debbo dirti inoltre che aiutai anche
quelli che stavano nella difesa. Infatti dopo tre giorni dallo
sfollamento arrivarono dei camion tedeschi che scaricarono 54 mucche
razziate chissà dove! Come stalla fu usata la chiesa di Sant’Eustachio, e
a guardia c’erano due austriaci che distrussero il Parco della
Rimembranza. Questo era stato creato negli anni 20’ per ricordo dei
campogiovesi caduti nella guerra 15-18’. Intorno ad ogni albero era
stato posto una specie di cilindro fatto di stecche di legno dipinte in
verde e tenute insieme da due cerchi di ferro. Su ogni cilindro c’era
una piastra di metallo rivestita di smalto bianco con sopra scritto il
nome del caduto, la data e luogo di nascita, e la data e luogo di morte.
Dalle date dei morti (quasi tutte uguali 15-18’) e dal luogo di morte
spesso con nome tedesco, i due austriaci avevano capito che si trattava
di un omaggio ai loro vecchi nemici vincitori e con rabbia distrussero
tutti i cilindri di legno e ne fecero un gran falò.
Intanto però ogni mattina io dovevo andare con due dei “ragazzi”,
consegnare loro le mucche e indicare ai due austriaci dove sarebbero
andate a pascolare. Una mattina uscì dal bosco Murtaret e mi disse che
gli sfollati nel bosco avevano una gran fame ed erano senza viveri.
Allora feci sparire una mucca nel bosco ma al ritorno i due austriaci
volevano quasi fucilarci perché non riuscivano a capire come avevamo
potuto perdere una mucca.
Una volta però mi portarono al comando un gruppo di fuggiaschi fra i quali ricordo:
- il dottor Ciccone, medico, fratello del mio professore di italiano al liceo “Ovidio” di Sulmona
- i fratelli Gianmarco Ing. Achille e quello più grande Ufficiale dell’Aviazione
- il prof. Liberatore di Vinchiaturo,
degli altri non conosco i nomi ma furono tutti rilasciati (ed in questo
mi aiutò Diomira Chiaverini che era ancora rimasta a casa mia) perché
trovammo mille scuse: un bambino malato; due vecchie sorelle che i
nipoti venivano a trovare; i vestiti pesanti per i figli che non avevano
fatto in tempo a prenderli durante lo sfollamento ecc….
Ma a questo bisogna aggiungere due episodi (vedi testimonianze alla fine) che mi permisero di salvare tante altre persone.
Primo episodio: ad un certo momento prima ancora dello sfollamento
quando il comando tedesco di paracadutisti era a casa Duval dove io
facevo l’interprete, arrivò un camion di SS il cui comandante aveva una
lista di 32 nomi con l’indirizzo (!) da catturare per il lavoro della
Todd.
Fui invitato con mio vero terrore ad accompagnare i tedeschi casa per
casa. Per fortuna le SS rimasero nel camion e per la requisizione dei 32
nominativi furono incaricati i tedeschi che stavano sul posto comandati
dal mio amico (!) Sepp Sneider giovane austriaco col quale avevo
stretto un buon rapporto. Ricordo che usciti dal comando mi misi sotto
braccio al sergente che guidava il drappello e in Piazza delle Logge
dove adesso c’è il monumento mi misi a cantare:
“Annascunneteve vanne acchiappenne” rivolto verso la casa di Marco Cellante dove sapevo che erano nascosti alcuni concittadini.
Il tam tam funzionò e non ne presero nessuno!
Secondo episodio: Intanto il comando tedesco con l’arrivo degli alpini
che sostituirono i paracadutisti era passato da casa Duval a casa mia e
quindi mi ritrovai a fare l’interprete con la mia vecchia camera a
disposizione.
Ho premesso questo per raccontare quello che accadde la notte del 23
Febbraio 1944: in diciassette si nascosero in camera mia attaccata al
comando tedesco. Era una notte terribile vento e bufera con due metri di
neve che avevano impedito a questo gruppo di procedere verso Coccia.
Fui avvertito da Aldo Capaldo e non potendo fare altro li feci entrare
dalla finestra della mia camera che dava sul vicolo. La cosa fu
facilitata dalla tanta neve che permise di raggiungere la finestra
abbastanza facilmente. Ricordo che fra essi c’era il Dott. D’Attilio di
Roccaraso con un Avvocato di Napoli, suo amico, e uno dei fratelli
Tirone di Sulmona, degli altri non ho mai conosciuto i nomi.
Tutto il giorno rimasero nascosti a casa e la notte successiva alcuni
tentarono ancora la traversata e altri tornarono a Sulmona.
Quando oggi ripenso a quegli episodi che io avevo creduto realizzati per
il mio coraggio capisco invece che era stato solamente incoscienza
giovanile.
Caro sindaco, fra prigionieri inglesi e cittadini italiani, i
campogiovesi salvarono la vita a centinaia di persone o quanto meno
permisero loro di raggiungere la libertà. Questa fu la vera epopea di
cui parla Uys Krige. Quello che ha fatto a quell’epoca Campo di Giove
non l’ha fatto nessun altro paese delle valle Peligna e di tutto
l’Abruzzo: aggiungi che non abbiamo avuto un morto, un ferito, un
catturato.
Tutta l’ operazione era nata spontaneamente ma era stata condotta con
grande coraggio “altrimenti Kaputt” e con ottima organizzazione.
Io credo sindaco che i campogiovesi queste cose le debbano sapere e
credo anche che questo paese meriti un alto riconoscimento. Sono state
date medaglie all’epoca per molto meno!
Tu ti dovresti attivare perché Campo di Giove merita una medaglia d’oro
per quell’epopea costruita con amore, altruismo e disinteresse.
Ma devi far presto: io ho imboccato l’ultimo miglio, il traguardo è
ancora lontano, ma arriverà. Tieni presente, parafrasando quello che ha
scritto di me il Prof. Ezio Pelino sul libro “E si divisero il pane che
non c’era”, che io sono l’ultimo testimone.
Cari saluti dal Prof. Italo de Vincentiis
Testimonianze:
1. “Rauss” di Giovanni Presutti; 2. Giovanni Presutti in persona, ancora
vivo e vegeto; 3. “Il ragazzo della valle”; 4. “E si divisero il pane
che non c’era” di Ezio Pelino; 5. La Signora Wanda Notarmuzi; 6. tutti i
campogiovesi che hanno almeno 80 anni e che, se non tutto, parte di
quei fatti ancora li ricordano".
Questa lettera, datata 22 Febbraio 2012, è stata stralciata dal testo I Paralipomeni al Ragazzo della Valle di Italo De Vincentiis, ed era indirizzata al Sindaco di Campo di Giove Vittorio Di Iorio, per chiedere che venisse conferita una medaglia al valore alla sua cittadina natale, avendo contribuito in prima linea, con i suoi abitanti, alla lotta di liberazione italiana dal nazifascismo, dopo il 1943. Da quell'anno, infatti, ebbero inizio i rastrellamenti tedeschi anche a Campo di Giove, luogo in cui i vicini sulmonesi sfollavano, e molti tentavano la traversata di Monte Coccia, nella speranza di raggiungere luoghi più ospitali, in cui fossero presenti le truppe angloamericane e francesi degli alleati.
Il titolo scelto dall'autore, il professor Italo De Vincentiis, nativo di Campo di Giove, ma oggi romano di adozione, e noto otorinolaringoiatra della clinica Umberto I, intende sottolineare il carattere di completamento, di aggiunta, alla sua precedente edizione, intitolata Il Ragazzo della Valle. Nel libro viene richiamato l'episodio dell'uccisione, su Monte Coccia, del Tenente friulano di Aviazione, Ettore De Corti, per mano dei nazisti tedeschi; ma viene anche raccontato di come lo stesso De Vincentiis contribuì a salvare le vite di molti, campogiovesi e non, tra quelli che una notte si rifugiarono nella sua casa natale. Il De Vincentiis, oggi primario e autore di numerose pubblicazioni medico-scientifiche, permise ai prigionieri di fuggire da una delle finestre di casa, che affacciano su un vicoletto un po' nascosto, proprio la notte del 23 febbraio del '44. Una notte gelida, in cui la neve già abbondantemente caduta, si mescolava a quella che scendeva dall'alto di una nuova bufera. Ben diciassette persone trovarono così scampo, non visti, alla ferocia nazista. Per questo episodio, la persona di Italo De Vincentiis, e di altri campogiovesi, fu segnalata come azione partigiana nella lotta di liberazione. L'autore nega che a Campo di Giove si potesse parlare di lotta partigiana propriamente organizzata in gruppi di azione, mentre sottolinea come questa operazione fu egregiamente svolta da tutti, indistintamente, gli abitanti del ridente sito montano. E per questo motivo, continua a chiedere nell'attuale pubblicazione, presentata al pubblico dei turisti campogiovesi nel corso delle ultime ferie estive dell'anno 2014, un riconoscimento formale, una medaglia al valore, che ricordi le azione eroiche della popolazione, in quegli anni bui di terrore.
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