La dimensione filosofica del viaggio


Ci sono molti modi di viaggiare. Il viaggio è nella testa. Ed è dal mondo dei pensieri che prende corpo ogni viaggio. Si può divagare leggendo, pensando, scrivendo, guardandosi dentro, scrutandosi nell’anima. Molti sostengono che il viaggio più appassionato e appassionante sia proprio quello fatto nella coscienza, dentro la psiche dell’uomo. È il viaggio dell’interrogante, del ricercatore, dell’intellettuale, dello psicologo, del religioso. In qualche modo è il viaggio di ogni uomo che si pone domande, ragionando sugli eventi della vita. Il viaggio che si compie nella testa non prevede un reale spostamento. È un viaggio in cui si muove, fluttuando, solo il mare magnum di sensazioni, emozioni, sentimenti, paure, desideri, che costituiscono l’interezza emotiva della vita psichica conscia e inconscia. Anche sognare è sinonimo di viaggiare, sebbene lo si faccia solo col pensiero. La potenza delle più attuali tecnologie informatiche ha poi permesso il viaggio nel cyber-spazio, inteso come movimento virtuale che consente, dietro lo schermo di un computer, e comodamente seduti in poltrona, di digitare contenuti potenzialmente fruibili da una parte all’altra del globo terrestre. Ciò favorisce senz’altro la comunicazione, a detrimento, però, di quella vita di relazione a tu per tu, che fonda la conoscenza umana, il dialogo ed il confronto reali tra le persone. La dimensione dell’incontro con l’altro è del tutto superata, nello spazio virtuale, da quella delle idee di platonica memoria, che ci conducono ad allontanarci dalla realtà effettuale nell’intento di accostarci sempre più ad un mondo immaginario, fatto di astrazioni e di concetti, ma assolutamente vuoto di presenze interattive e vive. Contrariamente viaggiare, nella dimensione reale, vuol dire spostarsi fisicamente da un posto all’altro, scegliendo in primis un mezzo di locomozione adeguato alle esigenze e alla distanza da coprire. Ogni mezzo, che sia il treno, il pullman, l’auto, l’aereo o la nave, rappresenta, nella sua specificità e differenza dagli altri, una modalità assolutamente unica di orientare i propri spostamenti. L’auto può essere più veloce ed efficiente rispetto al treno, al pullman o alla nave, e implica un’indipendenza dagli orari e dal gruppo assoluta. Ma se non si viaggia insieme ad altri si finisce per restare ancora più isolati dal contesto. Ed è, perciò, preferibile, se si vuole socializzare, far uso dei grandi mezzi pubblici che consentono anche di conoscere gente nuova e fare amicizia. Per mettersi in viaggio bisogna acquisire l’idea che ogni spostamento è un abbandono delle comodità abituali di vita. Delle prospettive acquisite nel tempo dell’immobilità. Probabilmente non troveremo, nei luoghi che andremo a visitare, il nostro materasso, né il cuscino che siamo soliti adoperare. L’ambiente che ci ospita, albergo, casa in fitto, bungalow, tenda, roulotte o camper, non avrà gli stessi comfort delle nostre abitazioni. Viaggiare vuol dire anche mettersi in gioco, prepararsi ad affrontare alcune eventuali difficoltà e problematiche. Implica, perciò, di fatto, una predisposizione all’adattamento e alla rinuncia, sebbene momentanei. Ma perché questo sia possibile, è necessario che il piacere di viaggiare, della scoperta di nuovi luoghi, della conoscenza di popoli e culture differenti, siano più importanti di quello che abbiamo, momentaneamente, lasciato a casa. Insomma, come si dice volgarmente, è bene che il gioco valga la candela. Altrimenti la tristezza si popolerà di fantasmi che ci renderanno difficoltoso e problematico il viaggio verso la meta prevista. Ma qual è lo scopo del viaggiare? Conoscere nuovi posti o gente diversa? Misurarsi con altre culture? Direi che questi sono, piuttosto, gli strumenti del vero scopo del viaggio, che rimane sempre e comunque un lungo percorso interiore di scoperta e di crescita, che porta il viaggiatore a misurarsi con le forze della natura e con quelle dei suoi compagni di viaggio solo ed esclusivamente nell’intento di stabilire nuovi confini con le sue stesse capacità. Pensiamo ai grandi scalatori e passeggiatori solitari delle montagne come Messner. Il viaggio diventa, in questo caso, una sfida che l’uomo lancia a se stesso, superando i propri attuali limiti, per spingersi sempre oltre. Il viaggio forma il carattere, plasma la personalità, aiuta a superare paure e a realizzare desideri, spinge a socializzare, mantiene giovani, perché tiene sveglia la consapevolezza, nel viaggiatore, di un mondo intero che esiste fuori dalla porta di casa. Un mondo bello che merita di essere visto e conosciuto. La spinta ad uscire fuori di sé, ad abbandonare la comodità per l’avventura, appartiene all’orizzonte di vita dei giovani, che sono sempre più propensi a lanciarsi in nuove esplorazioni conoscitive. Il viaggio è anche cultura, nella misura in cui determina l’incontro reale tra la gente, e invita a dialogare per conoscersi reciprocamente. Uomini di grande talento e di vasta cultura sono quelli che hanno molto viaggiato e sperimentato. Tutto ciò che possiamo conoscere in maniera significativa passa necessariamente per le esperienze possibili. E queste diventano vive e concrete quando, più che leggerle nei libri, le andiamo a vivere di persona. Perciò, è consigliabile leggere magari qualche libro in meno, e fare qualche viaggio in più, assaggiando cibi diversi dal nostro, e scambiando parole che, altrimenti, non potrebbero mai essere dette. E il linguaggio, che pure resta convenzione, costruisce mondi che ci fanno entrare nello spirito di altre dimensioni spazio-temporali. Ma non il linguaggio delle fredde lettere inchiostrate sui libri. Solo quello che viene detto attraverso il luccichio degli occhi, i sorrisi che si aprono amichevoli, le mani che si stringono o che accarezzano, e gli abbracci che uniscono oltre tutte le frontiere, che costringono in esistenze fatue e false, e che negano l’incontro. Non bisogna, perciò, fuggire dalla propria città. Bisogna, però, andare a conoscere altre culture, per assimilare il buono che c’è in quelle, e portarlo insieme, al ritorno, nell’intento di migliorare il luogo natio. Perché le radici sono importanti se sorreggono il fusto, giammai se ne impediscono la crescita e la propagazione verso l'alto.

La mia esperienza di vita mi ha portato, anche quest’anno, a viaggiare come pendolare per recarmi al mare qualche giorno. Ed essendo foggiana, ho scelto di visitare il Gargano ancora una volta. Le spiagge di Mattinata le ho trovate bellissime, ricche di suggestioni e di spunti, anche lirici. Ma mi hanno sorpreso la natura selvaggia ed incontaminata, il mare limpido e profondo, le acque trasparenti, la brezza vitale sulla riva, le pietre levigate e tondeggianti, tutte difformi le une dalle altre, e la gente dei luoghi che si mescola con tanta semplicità e naturalezza ai “vu’ cumprà” come ai tedeschi, ai francesi, ai rumeni e ai cechi, che popolano quei lidi incantevoli a due passi dalla provincia. Anche Peschici e Vieste meritano una visita per le loro peculiarità marine ma soprattutto per le particolarità delle località, che si propongono al visitatore con le tipiche case bianche dei centri storici, a ricordare la Grecia salentina, entrambe, però, a picco sul mare, del tutto edificate nei loro centri storici, abbarbicati alla roccia carsica.

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